L’ULTIMO GAP
Giglio Mazzi è l’ultimo partigiano ancora vivo del distaccamento Katiuscia, una delle formazioni GAP (Gruppi di Azione Patriottica) che operarono nell’Emilia Romagna occupata dai tedeschi tra il settembre ‘43 e il 25 aprile 1945. A 93 anni è ancora in grande forma e ci racconta la storia, privata e collettiva, di quella straordinaria stagione di lotta: 20 mesi vissuti pericolosamente attorno all’asse strategico della via Emilia, senza fissa dimora e con l‘obbiettivo assoluto di combattere i nazisti e i loro servi fascisti. Giglio fu uno dei più giovani ad imbracciare la mitraglia. Fece la sua scelta di vita a neppure 17 anni, dopo il pesante bombardamento Alleato delle Officine Reggiane presso le quali lavorava: o salire in montagna a scavare trincee per i tedeschi sulla Linea Gotica, o darsi alla latitanza ed abbracciare la causa della Liberazione. “Eravamo tutti giovani alle Officine”, racconta, “E naturalmente tutti antifascisti”. Il suo racconto si snoda tra assalti ai presidi fascisti e violenti scontri a fuoco con i nazisti, facendoci via via incontrare e conoscere i dodici componenti del suo distaccamento: dieci uomini e due donne, le staffette Ada e Kira, “uniti più di quanto lo siano i fratelli”, dice Giglio, perché “nel freddo inverno, quando il sangue delle ferite gelava sulla strada, noi dormivamo abbracciati l’uno all’altro per scambiarci un po’ di calore”.
Tra i GAP il tasso di mortalità era spaventosamente alto, fino all’80% nei primi mesi, per i rischi collegati alle azioni in territorio occupato. Anche Giglio, assieme al compagno Otello Montanari (partigiano Jack, poi parlamentare del PCI) viene colpito a sangue freddo da un nazista dopo una imboscata e ci racconta le ore e i giorni infiniti trascorsi tra la vita e la morte con quattro proiettili che hanno attraversato il suo corpo. Si salverà, per riprendere a combattere fino al 24 aprile, quando l’intero distaccamento Katiuscia si unisce agli Alleati in arrivo da Modena ed entra trionfante a Reggio Emilia.
“L’ultimo GAP” racconta questa storia, indissolubilmente legata alla Pianura Padana, all’antifascismo contadino e operaio che la animava già dagli anni Venti. E ai suoi infiniti campi, agli uccelli e ai corsi d’acqua di cui fortunatamente c’è ancora traccia e che le immagini del film vanno a ricercare.
Del distaccamento Katiuscia faceva parte anche mio padre, col nome di battaglia Teranghi, preso dal film di John Ford “Uragano” del 1937. E come Giglio mi ha sempre detto, parlando di quella intensa stagione di lotta: “Abbiamo fatto quello che c’era da fare. Punto e Basta.”
Paolo Bonacini