Felice Montanari “Nero”

Nero, era il nome di battaglia di Felice Montanari, giovane di canneto sull’ Oglio (Mantova). Nell’autunno del 1944 aveva appena sedici anni, ma ne dimostrava ancor meno essendo piccolo di statura e molto magro. Vivace e molto intelligente, da mesi aveva dovuto lasciare la sua casa perché ricercato dai fascisti in seguito ad azioni partigiane effettuate in quella zona. (A Mantova i tedeschi avevano ucciso 7 ostaggi fra i quali un suo amico di nome Corradini).

In un primo tempo, nell’estate del 1944, Nero aveva raggiunto i partigiani in montagna, assieme ad un altro giovane, certo Manfrin di Viadana; ma nel successivo autunno in seguito a violenti rastrellamenti da parte tedesca, rimasto sbandato, era costretto a ridiscendere a Castelnuovo Sotto. In questo paese era ospitato e nascosto dalla famiglia Altare sino a quando entrava a far parte del gruppo di partigiani che operavano nella zona, con a capo il partigiano Marat.

Molte ed importanti furono le azioni compiute da lui e dal suo gruppo e per ultima la sua cattura, nel gennaio del 1945, di un capitano tedesco che avrebbe dovuto servire per lo scambio con alcuni partigiani già prigionieri. Il tedesco venne rinchiuso in un casello ferroviario disabitato, posto sulla strada che unisce Poviglio a Boretto. A guardia del capitano restava solamente il giovane partigiano Nero.

Il giorno 5 gennaio del 1945 i fascisti e i tedeschi incominciarono a rastrellare la zona e ben presto il partigiano Nero si trovò circondato. Di temperamento molto coraggioso incominciò a difendersi con tutte le sue forze sparando ora dall’una, ora dall’altra finestra, lanciando bombe e costringendo gli assalitori a mettersi al riparo. Per farlo arrendere i tedeschi spinsero parecchi abitanti dei dintorni ad avvicinarsi al casello. Ma l’azione del partigiano Nero era così intensa da far credere ai nemici di avere di fronte molto partigiani e chiedere rinforzi. Dopo 2 ore le munizioni finirono e il giovane Nero non riuscì ad aprirsi un varco e fuggire. Né gli altri partigiani erano in grado di portargli aiuto. La fine era vicina. O farsi prendere vivo, o uccidersi. Forse con la prima avrebbe potuto avere salva la vita dato che ara ancora un ragazzo, ma avrebbero tentato con tutti i mezzi di farlo parlare ed egli non voleva che altrettante persone potessero cadere nelle loro mani. Non gli rimaneva che spararsi un colpo alla tempia e tutto sarebbe finito per lui. Allora con un ferro incise sul muro poche parole “Perduto, portate un fiore”.

Poi si avvicino la canna della rivoltella alla tempia e stava per premere il grilletto quando il capitano tedesco cercò di dissuaderlo, di convincerlo a non fare quel gesto, che lui avrebbe fatto di tutto per salvarlo; ma il povero Nero non poteva pensare più a sé stesso che agli altri. Non poteva essere certo che non avrebbe parlato sotto tortura e per generosità, unicamente per questo si tolse la vita. Nel frattempo i fascisti entrarono nel casello, salirono nella stanza dove si trovava il corpo di Nero e lo buttarono dalla finestra (gesto veramente degno di loro). I tedeschi invece lo portarono a Boretto prima di seppellirlo gli resero gli onori militari. Era il giorno 5 gennaio del 1945.