Dopo la rappresaglia effettuata a Bagnolo il 14 febbraio del 1945 sorse un dissidio tra fascisti e tedeschi.I tedeschi accusarono le brigate nere di aver compiuto una rappresaglia ingiustificata in quanto avevano ucciso degli innocenti. Pertanto disponevano che i fascisti non compissero più nessun massacro senza il benestare del Platzkommandantur.
Senonché a funestare di nuovo la zona vennero i luttuosi fatti di S. Michele.
La lotta partigiana continuava senza soste e già il movimento della pianura stava conseguendo un netto sopravvento sui nazi – fascisti, che erano stati clamorosamente battuti il 27 febbraio 1945 a Fabbrico.
Continuando nella tattica terroristica che aveva già insanguinato la Via Emilia con i massacri di Villa Cadè e Calerno, i tedeschi erano ben decisi a frenate la lotta di liberazione con le rappresaglie, nella speranza di potersi sganciare nella provincia al momento decisivo senza dover fronteggiare le formazioni partigiane la cui aggressività li preoccupava vivamente.
Ma era un intero popolo a contrastare i loro disegni (vastità del movimento: giovani, donne, famiglie intere di lavoratori e di contadini nelle loro organizzazioni si mobilitarono contro il nemico).
Le rappresaglie pertanto non solo erano inutili, ma essendo altrettante manifestazioni di disprezzo della vita umana da parte dei tedeschi che si reputavano uomini di una “razza superiore” accentuavano l’odio che li circondava.
Se avevano contrastato coi fascisti a proposito della rappresaglia di Bagnolo erano perché da un lato volevano mostrarsi in luce migliore agli occhi della popolazione rispetto ai fascisti, dell’altro intendevano affermare lo strano principio che, per rappresaglia giusta doveva intendersi solo quella effettuata verso ostaggi e non verso i cittadini prelevati dalle loro case. Ma anche gli ostaggi erano innocenti. Erano per lo più giovani sottrattisi alle chiamate dei bandi fascisti o uomini sospettati di antifascismo o di “convivenza coi patrioti”. Questi infelici gremivano le carceri da cui spesso venivano tratti per essere fucilati per ammonimento.
Fu il caso appunto di S. Michele. Otto giovani vennero prelevati dalle carceri di Reggio Emilia, portati presso il cimitero il giorno 3 marzo e quivi fucilati barbaramente. Si infierì anche sui cadaveri, come dimostrano le fotografie scattate subito dopo: alcuni di essi infatti ebbero il cranio fracassato.
L’eccidio fu effettuato da soldati tedeschi per ordine del Comando tedesco.
Sulla stampa fascista di quei giorni apparve un comunicato nel quale si diceva che la fucilazione era stata ordinata dal Comando germanico in seguito alla uccisione di 4 militari tedeschi. Ma i fatti avvennero in varie parti della provincia; ne potevano essere colpevoli i giovani ostaggi che si trovavano in carcere e che per la maggior parte non erano reggiani.
Ma per i fascisti ed i tedeschi questo non aveva grande importanza: bastava che il sangue scorresse, che ci fossero morti per le strade a dimostrare la loro inflessibilità. Non importava chi moriva ma che si morisse.
“Per ogni soldato germanico ucciso o ferito – arrivava un comunicato di quei giorni che voleva essere una diffida – sarà fucilato un numero molteplice di banditi. Essere partigiani morire presto o tardi come volgari criminali”.
Ecco dimostrato che si uccideva a scopo intimidatorio, non per punire gli autori di fatti determinati. Simile procedimento urtava contro il senso innato di giustizia dei cittadini e non faceva che indurre i più generosi a gettarsi nella lotta per affrettare la fine del terrore e per far pagare ai nazifascisti le loro atrocità.
Questo avvenne precisamente con la sconfitta totale degli oppressori stranieri e dei fascisti nel successivo aprile (allargare con esempi di combattimenti avvenuti dopo la rappresaglia di S. Michele: Botteghe di Albinea 27 marzo, Fosdondo il 14 aprile, occupazione di S. Martino in Rio ai primi di aprile, giornata insurrezionale e combattimento del Ghiardo 13 aprile, Cà Marastoni, conquista di Ciano 10 aprile, salvamento delle centrali di Ligonchio 10 – 14 aprile, vari combattimenti della liberazione ecc.).
Caduti di San Michele
Bruschi Annibale
Corradini Renato
Grassi Angelo
Sesenna Elio
Signorelli Guido
Vecchi Ottorino
Brandolisio Luigi Paolo