Situazione precedente

Dopo un terribile inverno, caratterizzato dalla stasi del fronte italiano e dalla conseguente, implacabile lotta antifascista partigiana alle forze Nazi-Fasciste, le formazioni reggiane della montagna e della pianura si andavano riprendendo rapidamente.

Le atroci rappresaglie di Sesso (23 morti), Ponte del Quaresimo (10 morti), Villa Cadè (21 morti), Calerno (20 morti), Bagnolo (10 morti), S. Michele (8 morti), Bagno (5 morti) ecc. avevano seminato le vittime ribelli certi di poter affrettare la fine degli orrori e l’avvento della pace.

L’esempio di Fabbrico (27 febbraio) simboleggiava ferma volontà. In questo centro della bassa i fascisti, che intendevano attuare una ennesima rappresaglia fucilando 22 ostaggi civili, furono invece agganciati, costretti al combattimento e clamorosamente battuti dalle formazioni partigiane della zona.

Alla fine di marzo, veniva liberato S. Martino in Rio. In montagna i partigiani batterono i tedeschi nel brillante combattimento di Ca’ Marastoni; resistettero ad insidiose puntate dei tedeschi che intendevano distruggere la centrale di Ligonchio e, il 10 aprile, liberarono Ciano d’Enza.

Le masse reggiane attendevano con giustificata ansia gli sviluppi della promessa offensiva alleata sul fronte italiano, reagendo ai disagi della guerra ed alle atrocità degli occupanti con manifestazione di donne in quasi tutti i comuni della pianura. Le donne manifestarono anche in Reggio Emilia sfidando le fucilate dei militi.

I nazi-fascisti rastrellarono in forze la bassa reggiana e modenese. Fucilarono 9 patrioti a Reggiolo, 3 a Campagnola, e 8 a Righetta di Rolo il giorno 14, ma il giorno successivo dovettero sostenere un duro combattimento a Fosdondo ove ebbero la peggio.

Ormai si susseguivano gli attacchi sempre più consistenti alla “linea gotica” e la situazione nelle retrovie si faceva sempre più esplosiva. Il giorno 21 Bologna viene liberata. Le formazioni reggiane dal giorno successivo furono impegnate contro le prime truppe tedesche in ritirata.

La bassa in particolare era gremita di reparti che si portavano verso il Po in cerca di guado, mentre puntate di carri armati alleati gettavano fra di esse panico e scompiglio. Compito principale delle formazioni di pianura era quello di ritardare e disturbare la marcia delle massicce formazioni tedesche, al fine di permettere alle truppe alleate di raggiungerle e circondarle.

Così avvenne infatti. Migliaia di uomini, dopo aver combattuto ad ogni passo contro i partigiani, vennero accerchiati dalle truppe alleate e catturati con il concorso dei partigiani.

 

Il fatto di Mancasale

Nell’atmosfera confusa e rovente delle ore precedenti alla liberazione, si verificò il fatto di Mancasale e, più precisamente, di Casa Berretti. Come avveniva un poco ovunque, anche i sappisti del luogo uscirono alla luce del sole e cominciarono la loro azione, coadiuvati dai civili, secondo le direttive del C.L.N che invitavano tutto il popolo allo sciopero generale insurrezionale.

Alcuni patrioti, dopo aver sostenuto una scaramuccia, riuscirono a catturare una quindicina di militare tedeschi. Ma ad un tratto, altre truppe autotrasportate giunsero in zona dirette verso est ed avvistarono la piccola colonna dei patrioti e dei prigionieri. Si accese un nuovo combattimento. Questa volta i partigiani si trovarono nella impossibilità di avere il sopravvento: altre pattuglie nemiche sopraggiunsero e fu molto se essi riuscirono a sganciarsi, almeno in parte.

Dolorose furono le perdite subite. Perirono lo stesso giorno 24:

 Guerra Fermo

Guerra Enrico

Berretti Sereno

Berretti Bernardo

Sassi Emore

 

Rimase ferita gravemente e perì poco dopo la staffetta: Zanichelli Nerina

A queste perdite subite dalla Villa, va aggiunta quella del giovane garibaldino: Tonelli Abdon, caduto il giorno precedente (23 aprile) presso Cerreto Alpi nel corso delle operazioni tese a liberare la Strada Statale n. 63 dai presidi tedeschi. Anche il suo nome figura giustamente tra quelli dei caduti di Mancasale incisi sul cippo.

Sette vite, vennero dunque stroncate negli ultimi istanti di lotta. Sette vite che, assommate alle numerose altre che tutta la provincia diede nei vari combattimenti della liberazione, rappresentano un sacrificio cospicuo. Esso sta a dimostrare che i patrioti reggiani non attesero che due colossi in lizza regolassero tra loro la partita.

Al contrario i partigiani e popolazioni, in un unico generoso slancio, contribuirono validamente alla liberazione del territorio provinciale.

Essi in tal modo non soltanto meritarono la Medaglia d’Oro di cui si sfregia il Gonfalone del Comune di Reggio, ma acquisirono il diritto di modificare profondamente la società italiana con la nuova Costituzione.