Quel crepitare di mitraglie. Ricordiamo Posacchio e Alvaro caduti nell’ultima battaglia
Era un bel giorno di primavera, troppo bello per morire: anche adesso è un bel posto, un bosco di molti alberi diversi e in questa stagione tante fioriture. Ai bordi di un laghetto, grande ed inconsueto nella pianura.
Siamo a Castelnovo di sotto, località San Savino.
Le famiglie e le coppie e le compagnie di ragazzi fanno il giro delle rive. Guardatevi intorno in questa campagna piatta dove sembra che non debba mai capitare nulla da raccontare. Vi raccontiamo una storia che potete rivivere. A San Bernardino, a pochi chilometri, un gruppo di ragazzi aveva deciso di non stare con le mani in mano mentre i fascisti facevano i prepotenti e i tedeschi gli schiavisti.
Una radio clandestina rimediata chissà come avverte che il Campanone di Bagnolo è pieno di gente, e i tedeschi che se la vedono brutta pensano di usarli come ostaggi per coprirsi la ritirata. Ma tutti i partigiani sono preoccupati: i fascisti qui hanno già ammazzato due mesi prima dieci civili senza colpe. Si teme un’altra strage e bisogna far qualcosa.
Da San Bernardino partono in quattro. Anche Malaguti che aveva Onilde, la giovane moglie, e due figli piccoli. A Santa Vittoria la gente si sbraccia per un avvertimento urlando che in zona ci sono ancora tedeschi armati. Sembrano saluti, ma poco più avanti, a San Savino, oltrepassata la fornace e senza più la protezione del muro, arriva paurosa la prima raffica.
Spara dall’alto dell’argine del Canalazzo: le raffiche micidiali, nate per colpire gli aerei, arrivano a spazzare la strada in basso fermando il loro mezzo.
Di corsa i quattro partigiani si rifugiano nella casa lì all’angolo, ma la famiglia li scongiura di andarsene che i tedeschi avrebbero ammazzati tutti.
Ascoltano: il popolo va sempre salvato.
Tentano la sortita lungo il fosso dietro la casa che offre un qualche riparo. Niente da fare, c’è un tombino sulla via di fuga e il salto è fermato nello slancio dal tiro micidale della mitragliatrice.
I tedeschi armati si avvicivano ai quattro, raffiche ravvicinate uccidono Simonazzi e Malaguti.
Un’altro, Dimmo Vioni, si arrende sperando di salvarsi, ma i tedeschi lo consegnano ai fascisti che lo fucileranno poche ore dopo nella piazza di Castelnuovo sotto. Un quarto, Morellini, ferito ma vivo si è nascosto chissà dove: non racconterà mai la sua terribile avventura.
Rivivetela voi, con una gita al cippo. Un mazzo di fiori rossi vi guiderà nel verde della pianura, accanto allo specchio del lago. Poi guardate la foto di questi ragazzi: non erano bei tempi, comandati dai prepotenti. Imparate da quegli occhi malinconici il perché del loro coraggio: seppero combattere armi in pugno guardando in faccia quelle carogne. Era un bel giorno di primavera, come oggi, con i fiori nei prati e le pozze di azzurro del cielo riflesso nei loro occhi. Forse si sciolse lassù il volto dell’amata e dei figli che non lo avrebbero più visto.
La moglie lo ha aspettato serena per 63 anni, avvolta dalle cure amorevoli della gente della bassa.
Ora riposano insieme nel cielo degli eroi. (Franco Malaguti)
I partigiani Simonazzi di San Rocco di Guastalla
A San Rocco c’è una via Arvedo e Alvaro Simonzzi: nel ricordo sono messi insieme e lo facciamo anche noi, scrivendo del loro senso di giustizia che doveva proprio venire da dentro, insopprimibile fino al sacrificio. Sempre nei dintorni della Via Pelosa andò così. Arvedo, in bella divisa dell’areonautica dove aveva prestato servizio, va a trovare una cugina, in una casa di latitanza dove erano nascosti due alla macchia. Le staffette avvertono dell’arrivo delle brigate nere e i due nascosti fuggono nei campi. Arvedo affronta i brigatisti, forse pensa “tanto io sono a casa mia”. Ma i fascisti andavano lì e cercavano un partigiano. Sicuri che fosse lui gli sparano in un angolo. Era il 29 dicembre del 1944
Quattro mesi dopo il cugino Alvaro si unisce al gruppo che va a Castelnovo Sotto. Qui trova la morte come abbiamo raccontato.
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