Rappresaglia di Sesso
I Manfredi ( Virginio , Alfeo, Gino, Aldino, Guglielmo )
Quella dei Manfredi di Villa Sesso era una famiglia di mezzadri molto numerosa, che comprendeva oltre al padre Virginio ed alla madre Gilioli Maria, i sei figli Attilio, Tito, Alfeo, Aldino, Guglielmo e Gino. Nessuno dei fratelli aveva aderito al partito fascista, verso il quale tutta la famiglia mantenne fin dagli inizi una forte ostilità.
Dopo l’8 settembre 1943, con il ritorno a casa di quattro figli precedentemente richiamati alle armi, i Manfredi si resero immediatamente utili nel lavoro “paramilitare”. Raccoglievano viveri e materiale per le primissime formazioni partigiane, assistevano e nascondevano i perseguitati politici, facevano da guida ai nuclei delle reclute partigiane nel loro viaggio verso l’Appennino. Fu così che casa Manfredi divenne una delle basi più solide della organizzazione, dove si riunirono quasi giornalmente i dirigenti dell’Intendenza, i componenti del Comando Piazza e del C.L.N. Provinciale.
Il martirio di questa eroica famiglia ebbe inizio il 17 dicembre 1944 con la fucilazione di un primo figlio, Alfeo, la cui unica colpa fu quella di essere stato sorpreso ad ascoltare la radio nella casa di un amico con altri tre compagni. Ma per i fascisti essi “erano in possesso di armi e di manifesti sovversivi pronti per l’affissione”. Accuse ovviamente false, che i ragazzi negarono dopo essere stati arrestati, ma per questo vennero percossi a sangue al punto tale di spezzare le gambe ad alcuni di loro ed in seguito fucilati. Capeggiati dal maggiore Attilio Tesei, i fascisti fecero irruzione a casa Manfredi soltanto tre giorni dopo, di mattino presto, accolti da Gino, già in piedi per curare la stalla, il quale venne immediatamente ammanettato e brutalmente percosso.
Conclusa la retata, papà Virginio ed i tre figli Gino, Guglielmo e Aldino vennero caricati su un camioncino e condotti alla ormai ex cooperativa di Sesso per estorcere loro le prime “spontanee” confessioni. Nei locali della cooperativa uno dei vigliacchi torturatori, tale Zanichelli Nello, si fece consegnare dal gestore un ferro da stiro ed un coltello, con i quali si accanì ferocemente sul povero Gino che venne bastonato. Ormai certo di non uscir vivo dalle mani dei suoi carnefici, prese su di sé ogni responsabilità nel tentativo di salvare la vita del padre e dei fratelli. Ma a nulla valse il suo sacrificio.
La tragedia volgeva al suo epilogo, i fascisti volevano a tutti i costi un massacro. Colpevoli o no avrebbero fucilato almeno 60 persone, poi concordarono con il comando tedesco che gli uccisi sarebbero stati 13. Verso le 10 del mattino i condannati vennero portati fuori dai locali della cooperativa. Gino Manfredi aveva un braccio spezzato, i piedi fasciati a causa delle ustioni praticate con il ferro da stiro ed il volto coperto dai lividi. Il vecchio Virginio, quando vide Gino completamente sfigurato dalle torture e resosi conto che Guglielmo e Aldino erano inclusi nel gruppo dei condannati a morte, volle seguirli nella atroce sorte. Sul luogo dell’esecuzione chiese più volte che fosse risparmiata la vita ad almeno uno dei figli, ma quando fu chiaro che tutto era inutile volle morire con loro. Quattordici furono le vittime del 20 dicembre. Un tale barbaro eccidio consumato così a sangue freddo fece tremare i polsi anche agli stessi fascisti, che inizialmente rifiutarono di far parte del plotone d’esecuzione e soltanto l’intervento del Tesei, con tanto di pistola in pugno, li costrinse a completare l’orrendo omicidio.
I Miselli (Ferdinando, Remo, Ulderico):
La famiglia Miselli si dedicò interamente alla causa della Resistenza pagando un prezzo altissimo. Il capo famiglia, Ferdinando,era di idee socialiste, idee che trasmise anche ai figli. Nel 1940 i due figli maschi, Remo e Ulderico, partirono soldati rispettivamente in Albania e in Grecia. Trasferiti poi in territorio italiano, l’8 settembre 1943 riuscirono a disertare e a raggiungere la famiglia.
Da quel momento ebbe inizio l’attività clandestina della famiglia Miselli. Inizialmente i fratelli fecero da guida ai partigiani diretti verso l’Appennino; collaborarono con altri giovani del luogo, come i Manfredi, compiendo azioni di sabotaggio e trasportando materiale destinato ai partigiani in montagna. Successivamente parteciparono a varie azioni armate.Ulderico, essendo stato sergente maggiore nell’esercito, venne destinato a i reparti della montagna nel marzo 1944, arruolandosi col nome di “Rolando”. Da capo squadra divenne comandante di distaccamento della 144a Brigata Garibaldi operante nella Val d’Enza.
Remo, che era entrato nelle SAP col nome di “Pancio”, divenne anch’egli comandante di un distaccamento che, dal gennaio 1945, diverrà la 77a Brigata SAP “Fratelli Mafredi”. I genitori, assieme alla figlia Enza, continuarono a sostenere i partigiani raccogliendo viveri. Il 25 novembre 1944 Ulderico venne sorpreso a Succiso da truppe tedesche e trasportato con alcuni compagni a Ciano d’Enza, presso la scuola anti-ribelli tedesca, dove venne fucilato il 27 novembre. Il 20 dicembre,nel secondo e più terribile rastrellamento di Villa Sesso, Ferdinando eil figlio Remo furono catturati e fucilati presso la Cooperativa del paese. (Tratto da: La storia della famiglia Miselli, Livello 9 Museo di luoghi del ‘900)
I caduti del 21 Dicembre 1944 (Dino, Alfredo, Luigi, James, Pierino)
Il giorno seguente la strage le brigate nere fermarono alcuni giovani che da Cadelbosco si recavano a Reggio Emilia in bicicletta e li fermarono. Senza nessun motivo e senza che fosse accaduto nulla durante la notte vennero condotti dietro la casa dei Manfredi e fucilati.