1944 – Novembre 20

Combattimento di Ramiseto

Alla fine del mese di ottobre 1944 alcuni battaglioni della 32° brigata Garibaldi (IV, V e VI) erano attestati sulle due rive del fiume Enza fra Ramiseto, Nirone e Selvanizza per organizzarsi in vista del secondo inverno di lotta in montagna; il comando della brigata era a Nereggio.
Il 17 novembre un forte contingente di truppe tedesche e di militi fascisti, valutato in 150 uomini, dava inizio ad un rastrellamento in tutta la zona della val d’Enza. Partiti da Ciano d’Enza, dove aveva sede una scuola antiguerriglia della Whermacht comandata dal capitano Siefert, tedeschi e repubblichini attaccarono i partigiani una prima volta quello stesso giorno. Con la complicità di una spia i nazifascisti riuscirono ad annientare completamente un intero distaccamento garibaldino: il “F.lli Cervi” della 32° brigata. Completamente colti di sorpresa per ventiquattro partigiani non rimase altra scelta che gettare le armi e alzare le mani in segno di resa, sperando in tal modo di aver salva la vita. Fu un’illusione: 18 di essi vennero immediatamente giustiziati sul posto, nella scuola, nella stalla ed in un fienile di Legoreccio. Gli altri sei garibaldini, comandanti e commissari delle varie squadre del distaccamento, vennero portati a Ciano dove furono fucilati dopo essere stati interrogati e torturati.
Nel frattempo il rastrellamento proseguiva: alle 13 del 20 novembre un altro distaccamento della 32° venne colto di sorpresa dai tedeschi. In un casolare di Rabona, presso Ramiseto, numerosi partigiani si trovarono accerchiati dalle truppe nazifasciste, ma a differenza di quanto accaduto tre giorni prima al “Fratelli Cervi”, questa volta i garibaldini risposero al fuoco ingaggiando una furiosa sparatoria contro i nemici.
Gli uomini del distaccamento “Amendola” della 144a Brigata, trovandosi in una posizione di assoluta inferiorità numerica, tentarono una disperata sortita per sottrarsi all’accerchiamento. Il tentativo di fuga dei partigiani nascondeva in realtà un altro intento: a poca distanza da Rabona, in località Castagneto, il comando di Brigata aveva appena posto la sua nuova sede dopo la dissoluzione di uno dei suoi reparti il 17 novembre. Il tentativo di sottrarsi all’accerchiamento avrebbe fatto si che l’attenzione dei soldati tedeschi e repubblichini rimanesse concentrata sui garibaldini di Rabona, lasciando così libero di agire il comando della 32° Brigata che poté trasferirsi a Lugolo con tutti i suoi materiali ed i carteggi. Andò invece perduto, bruciato nel corso della battaglia, un magazzino dell’intendenza di brigata nel quale erano stati raccolti molti abiti pesanti in vista dell’inverno e circa 80 kg di sale. L’azione di disimpegno costò cara al distaccamento “Amendola”; fra i suoi membri si contarono quattro morti ed altrettanti prigionieri, ai quali spettò la medesima sorte dei loro compagni arresisi e trucidati a Legoreccio. Tre di loro vennero immediatamente giustiziati, mentre il quarto subì la deportazione nel lager di Mauthausen dove morì pochi giorni prima della fine della guerra.
Da Ramiseto le forze attaccanti iniziarono poi a spostarsi verso la riva parmense dell’Enza. Anche i reparti partigiani cominciarono a ripiegare oltre la riva sinistra del fiume, in particolare il IV battaglione; i suoi distaccamenti persero più di una volta i collegamenti fra di loro e si unirono, per fronteggiare il pericolo, ai reparti partigiani dell’Appennino parmense, anch’essi duramente pressati in quei giorni da una violenta operazione antiguerriglia. I distaccamenti “Casini” e “Cervi” (appena ricostituito) trovarono rifugio sul monte Caio insieme alle formazioni parmensi. Nei giorni successivi tutta la zona attorno al monte fu teatro di aspri combattimenti, venne battuta metro per metro dalle truppe tedesche che inflissero nuove e dolorose perdite alle formazioni garibaldine. I reparti della brigata reggiana lamentarono la morte in battaglia di altri sei uomini, ma in quei giorni numerosi furono anche i partigiani e i contadini arrestati dai nazifascisti.
Una parte del IV battaglione riuscì a sottrarsi alla morsa del nemico sconfinando in Toscana. Fra i reparti che attraversarono il confine toscano vi furono anche l’infermeria della brigata con tutti i suoi malati (evacuati il 22 novembre) ed il carcere nel quale erano imprigionati alcuni soldati nemici (trasferito il 24 novembre).
A partire dal 24 novembre le formazioni della 32° brigata rientravano in territorio reggiano ritenendo, purtroppo a torto, che il rastrellamento tedesco fosse giunto al termine. Le truppe germaniche invece erano ancora schierate nella zona di confine fra le due province emiliane, tanto che il 25 novembre, approfittando della nebbia che impedì la loro individuazione, piombarono sull’abitato di Succiso. Ancora una volta un reparto partigiano fu colto di sorpresa: i pochi garibaldini in servizio di intendenza non poterono opporre un’efficace resistenza alle più numerose e meglio armate truppe tedesche. Nell’impari scontro quattro combattenti reggiani trovarono la morte, altri due, insieme ad un civile, vennero catturati e fucilati. Anche il comandante del distaccamento “Amendola” Ulderico Miselli Rolando venne catturato nel corso di quest’ultima azione; fu giustiziato due giorni dopo a Ciano d’Enza.
L’attacco a Succiso concludeva il rastrellamento iniziato dodici giorni prima, un’operazione che aveva scompaginato tutta la brigata partigiana operante in quella zona che lamentò la perdita di 45 combattenti. Lo stato maggiore della 32° brigata individuò le cause del disastro abbattutosi sui suoi battaglioni in tre fattori principali: il bassissimo morale dei partigiani (con una diminuita volontà di combattere) che non si aspettavano di dover combattere un secondo inverno sui monti e che non avevano ancora ricevuto rifornimenti adatti, in particolare di indumenti invernali; il cosiddetto proclama Alexander che aveva invitato i partigiani a cessare le operazioni militari fino alla primavera, abbassando ulteriormente il morale degli uomini e, ultimo ma non meno importante, l’assoluta superiorità numerica e tecnica dei tedeschi.
Chi furono i partigiani ed i civili uccisi nel corso del rastrellamento nella val d’Enza?

A Rabona il 20 novembre trovarono la morte i garibaldini Artemio Gombia Tony, Erasmo Torricelli Vincere, Giovanni Vecchi Corsaro, Vittorio Prandi Francesco; furono fucilati dopo la cattura Carlo Teggi Smit, Erio Tondelli Pippo, Silvio Ferrari Bruno, Aroldo Montanari Nando morì a Mauthausen il 20 aprile 1945.
Sul monte Caio fra il 21 ed il 23 novembre morirono Daniele Fontana Smit, Alvise Carpi Mosè, Giambattista Trolli Fifa, Ivo Bigi Adolfo, Camillo Pezzarossa Golbert, Alberto Tondelli Giove, Benvenuto Tondelli Folgore (fratello di Alberto, catturato e fucilato il 25 novembre).
A Succiso furono uccisi Elia Torri Furia, Renato Valentini Lampo, Elio Celestrini Sergio, Paolo Antonio Torri Volante, Felio Pietrelli Felio, Ulderico Miselli Rolando (fucilato a Ciano il 27 novembre).
Anche cinque civili persero la vita nel corso delle operazioni militari: Luigi Borghi, Bonfiglio Losi, Giacomo Pelosi e Domenico Rio a Ramiseto; Aristide Bragazzi a Succiso.

Bibliografia:

G. FRANZINI, Storia della Resistenza reggiana, Anpi, Reggio Emilia 1966;
G. GIOVANNELLI, La 284° Brigata Fiamme Verdi “Italo”, Alpi- Apc, Reggio Emilia 2003;
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A. CANOVI, N. BRUGNOLI, Le pietre dolenti: dopo la Resistenza i monumenti ai civili, il Pantheon della memoria a Reggio Emilia, Istoreco, Reggio Emilia 2002;
A. COMBI, Un gappista nel lager: cronaca di una resistenza; Triangolo Rosso, Milano 2002