Eccidio Villa Cadè – Rappresaglia Villa Gaida
Situazione difficile della Resistenza reggiana dal settembre 1944 sino al febbraio, a causa del fallimento dell’offensiva alleata contro la linea Gotica e la conseguente libertà di azione che ebbero i nazi – fascisti contro le formazioni partigiane. Retate poliziesche – arresto dei membri del Comando Piazza tra il novembre e il dicembre – rappresaglia di Sesso nel dicembre – rappresaglia di Vercallo di Casina il 21 e 23 dicembre (12 morti) – carceri piene – torture .
I partigiani, che secondo i fascisti erano orami liquidati e dovevano cadere ai rigori della stagione, passarono invece all’attacco aumentando notevolmente l’attività operativa dal dicembre in poi. Partigiani delle montagne scendevano fino in pianura ed assieme ai sappisti ed ai gappisti colpivano il nemico più duramente. La via Emila era un obbiettivo importante: renderla malsicura significava danneggiare il traffico nemico nella più importante arteria del retrofronte, gettando contemporaneamente la demoralizzazione fra i militari nemici e costringendo i Comandi ad impegnare sempre nuove forze per la sorveglianza. Su tutta la Via Emilia gli attacchi si moltiplicavano ed i tedeschi credettero di poter smussare l’aggressività dei partigiani ricorrendo alla rappresaglia. Fu così che il giorno 21 gennaio venivano fucilati presso il Ponte del Quaresimo dieci giovani prelevati dalle carceri di Reggio.
La rappresaglia di Villa Cadè
La sera del 7 febbraio, squadre di garibaldini scesi in montagna e sappisti della pianura attaccavano alcune macchine tedesche sulla via Emilia tra Villa Cella e Villa Cadè, infliggendo varie perdite ai nemici. Il comando tedesco ordinava una rappresaglia. Delle carceri di Parma venivano portati sul posto 21 giovani prigionieri. Quivi gli infelici, alle prime ore del 9 febbraio, venivano fatti scendere uno alla volta con le mani legate da fil di ferro e massacrati uno dopo l’altro con colpi di pistola al capo. Prima di cadere parecchi di loro gridarono il loro disprezzo sul volto degli assassini ed altri prima di morire furono intesi gridare “Viva l’Italia libera”.
Dopo l’attacco del giorno 7 i sappisti, che si attendevano una rappresaglia, rimanevano in postazione sulla Via Emilia per due notti. Dopo di che levavano la postazione, convinti che, essendo ormai passato troppo tempo i nemici avrebbero soprasseduto alla loro vendetta. Ma il furgone coi prigionieri giungeva sul posto qualche ora dopo inaspettatamente ed il massacro fu consumato.
Sul “Solco Fascista” del giorno 10 appariva il seguente comunicato: “Quale rappresaglia per il vile agguato contro militari germanici, nella notte tra il 7 e l’8 febbraio 1945 presso il km. 186 tra Villa Cella e Villa Cadè, nelle prime ora del 1945 sono stati passati per le armi sul posto 21 banditi. Alcune delle madri degli infelici giovani che avevano avuto sentore del fatto si recavano sul posto, ma a causa di questo divieto non poterono avvicinarsi alle salme dei figli. Così i poveri corpi rimanevano esposti per tre giorni, come ammonimento per la popolazione ed i partigiani. (Sfruttamento propagandistico della morte). Uno di essi ebbe il cranio sfracellato dalla ruota di un autocarro.
I cadaveri vennero poi portati al cimitero di Reggio Emilia ed ivi fotografi per permetterne la successiva identificazione, uno di essi è ancora sconosciuto. I tedeschi nella loro presunzione di “uomini della razza superiore” erano incapaci di comprendere il senso di dignità nazionale degli italiani e sbagliavano credendo che la Resistenza si potesse domare con il terrore.
La Via Emilia era una posta importante ai fini bellici e l’odio cresceva contro un nemico che usava il barbaro metodo di massacrare per rappresaglia persone estranee ai fatti, ostaggi che si trovavano sotto custodia quando i fatti d’arma avvenivano. La Via Emilia venne costantemente bersagliata anche nei mesi successivi (il giorno 12, nuovo attacco a Calerno e rappresaglia: 20 ostaggi fucilati il giorno 14; altri 5 giovani furono fucilati a Villa Bagno il 23 marzo ecc.). Ma il nemico subì tali danni e perdite che dovette molto spesso incassare senza compiere rappresaglie. Intanto i tempi mutavano: il rastrellamento invernale effettuato sulla montagna per allentare la pressione dei garibaldini verso la pianura si concludeva con nulla di fatto per i nemici e gli attacchi continuarono in pianura. I sappisti ed i gappisti a loro volta potenziarono la loro organizzazione e, proprio nel febbraio a Fabbrico infilassero una lezione durissima ai fascisti salvando contemporaneamente 22 ostaggi che stavano per essere fucilati. (Altre tappe: attacco ai presidi di Codemondo, Bibbiano, Cavriago, Montecchio, occupazione di S. Martino in Rio, manifestazione provinciale del 13 aprile ecc.).
La continua pressione partigiana e popolare fece sentire i suoi frutti nel momento decisivo: tedeschi e fascisti investiti da ogni lato lasciarono la provincia senza effettuare i saccheggi, le distruzioni industriali e la deportazione progettate.
Nomi dei Caduti a Villa Cadè
Abbati Fausto Ghidoni Lino
Affanni Bruno Ghiretti Arnaldo
Andreoli Mirco Guareschi Umberto
Bolzoni Athos Mazzacani Stefano
Bottali Lino Monica Silvio
Cavazzini Marcello Padovani Angelo
Dresda Elio Ptalbech Ettore
Fontana Eugenio Ragazzi Flaminio
Gabelli Serventa Sacco Paride
Schiavi Antonio
Nomi dei caduti a Villa Gaida
Castagnetti Cesare – Partigiano
Fantini Abele – Partigiano
Menozzi Giulio – Internato
Minari Agape – Internato
Pastarini Arnaldo – Internato
Ferretti Bruno – Deceduto per malattia contratta in prigionia
Bertani Olivier0 – Caduto civile
Mazzali Battista – Caduto civile
Grazioli Vittorio – Deceduto nel corso di una rappresaglia tedesca
Ferrari Piero – Deceduto per investimento di un automezzo tedesco