Grande figura di comunista e partigiano, Didimo Ferrari nel corso della sua tormentata storia, soprattutto dopo la morte, è stato oggetto delle peggiori calunnie e delle più volgari offese, volte non solo a gettar fango alla sua memoria, ma soprattutto a screditarne il ruolo che ebbe durante la Resistenza proprio perchè comunista.
Nato a Metz in Francia il 12 maggio 1912, dove i genitori cercarono di sfuggire alla paurosa miseria dell’epoca, Didimo Ferrari trascorse successivamente la fanciullezza in quel di Campegine, divenendo bracciante ormai adolescente. fame, miseria, costrinsero il piccolo Didimo a temprarsi nel carattere assai prematuramente, tuttavia formando in lui una coscienza di avversione al regime fascista e a tutte quelle ingiustizie cui furono sottoposte tante famiglie come la sua, costrette ad una esistenza veramente assai poco dignitosa.
Già nel 1931 entrò in contatto con una prima cellula comunista clandestina, diffondendo la stampa antifascista nella bassa ovest e per questa sua attività, non ancora ventenne, subì il primo arresto il 5 maggio 1932, facendo una prima visita al Tribunale speciale.
Confinato a Ponza per 5 anni, subì anche 10 mesi di reclusione per aver partecipato ad una protesta collettiva dei confinati. Chiamato al servizio militare dal ’35 al ’36, avrebbe finito di scontare la pena a Ponza il 10 novembre ’39, ma per il suo comportamento di irruducibile comunista che “non dà segni di ravvedimento”, rimase confinato fino a metà agosto 1943, ovvero in seguito alla caduta del fascismo.
Tornò così libero quando aveva 31 anni, dopo 10 anni, gli anni più belli della giovinezza, trascorsi tra carcere e confino. Quelli però furono anni non di “cattiva condotta”, come il regime intendeva far credere, ma di tenace formazione politica, leggendo e studiando.
Tornato a Campegine nell’agosto del ’43, la preparazione culturale maturata in carcere, unita alla congenita predisposizione al comando, fecero di Eros un dirigente di primo piano del Pci nella bassa ovest.
Nel gennaio del 1944, catturato dai fascisti, “Eros” (questo il suo nome di battaglia) fu rinchiuso nelle carceri dei Servi. Ma ci restò poco. Riuscito fortunosamente ad evadere, il mese dopo ebbe dal CLN l’ordine di raggiungere le prime formazioni partigiane reggiano modenesi nella zona di Villa Minozzo, divenendo in seguito Commissario generale delle formazioni partigiane operanti sull’appennino reggiano.
Protagonista della battaglia a Cerrè Sologno del 15 marzo 1944, dove guidò vittoriosamente i partigiani reggiani e modenesi nello scontro con i reparti tedeschi e fascisti, dopo aver assunto il comando in seguito alle ferite riportate dai comandanti Cocconi e Barbolini, comportamento che gli valse il conferimento della Medaglia d’Argento.
Con la motivazione ….“Commissario di guerra delle formazioni partigiane reggiane, istruì, animò e condusse più volte vittoriosamente all’attacco gli intrepidi Volontari della Libertà. Inseguito ad una puntata offensiva del nemico partecipò volontariamente al contrattacco come un semplice gregario. Rimasti feriti il comandante ed il vice comandante della formazione, in un momento particolarmente critico per le formazioni partigiane, assunse il comando del reparto ed audacemente si lancò nella battaglia trascinando con l’esempio e con la parola i suoi compagni che, snidando casa per casa il nemico più volte superiore, aggiunsero nuova gloria alle formazioni garibaldine”….. le venne conferita la medaglia d’argento al valor militare.
Passò successivamente nella zona di Ramiseto organizzando altre formazioni partigiane, distinguendosi nelle operazioni militari durante la conquista del presidio di Ligonchio e nella battaglia dello Sparavalle.
“Eros” si occupò anche dell’organizzazione della vita civile nella zona liberata, che prese il nome di “Repubblica di Montefiorino”, promuovendo l’opera di democratizzazione delle Amministrazioni comunali.
Curò inoltre la compilazione de Il Garibaldino e del Partigiano, fogli diffusi tra le formazioni partigiane della montagna reggiana.
Dopo la Liberazione fu il primo segretario dell’Anpi a Reggio Emilia.
Colpito da mandato di cattura nel 1950 con la falsa accusa di essere il mandante nell’omicidio dell’ing.Vischi, fu costretto alla latitanza fino all’amnistia, quando potè rientrare a Reggio 5 anni dopo. Morì prematuramente il 7 ottobre 1959 a soli 47 anni.
Per chi volesse saperne di più mi permetto di segnalare A.Z., Il dopoguerra reggiano nelle ‘carte segrete’ di ‘Eros’, in “Ricerche storiche”, n. 64/66, 1990, da pag. 7 a pag. 40.