A B C D E F G H I L M N O P Q R S T U V Z
Carabillò Cristoforo “Cris” (1917 – 1945)
Nato a Castelbuono di Palermo nel 1917 e residente a Scandiano. Tenente dei Bersaglieri nella Caserma di Scandiano.
Arruolato nei SAP il 20 ottobre 1944, arrestato dalle pattuglie G.N.R. di Reggio Emilia nei pressi del caffè Boiardo a Scandiano il 27 dicembre 1944. Cris era il segretario del Comando Unificato di settore. Prelevato dalle carceri e fucilato per rappresaglia dai fascisti all’altezza di Via Porta Brennone il 3 febbraio 1945.
Da una zona una Resistenza aut. Sereno Folloni: “Il 15 settembre ’44 il giovane ten. Cristoforo Carabillò, già militare nel battaglione dei bersaglieri, insieme ad un gruppo di amici, asporta armi (quante trovate efficienti ancora) dalla caserma di Scandiano, munizioni ed altre casse di bombe a mano e le nasconde. Uguale operazione il giorno dopo alla Rocca, ove vengono rinvenuti alcuni moschetti e poche munizioni. Non era sicuramente per consegnarle ai tedeschi che si facevano tali operazioni proprio nei giorni in cui le autorità riprendono in mano la situazione e comminano o dicono di comminare le sanzioni segnate dalle ordinanze”.
Casoli Franco “Mollo” (1925 – 1944)
L’organizzazione politica e militare della Resistenza reggiana ebbe già nei primi mesi del 1944 un primo decisivo impulso, riuscendo a contrastare piuttosto efficacemente l’esercito tedesco, spalleggiato dai fascisti, con le memorabili battaglie a Cerrè Sologno ed allo Sparavalle, solo per citarne alcune. Tuttavia il prezzo pagato per il raggiungimento della Liberazione, fin da quei primi mesi, fu senz’altro altissimo ed inestimabile.
Il giovane garibaldino Franco Casoli “Mollo” è stato tra i primi a dare la vita per un’Italia libera e giusta ed in questi giorni, nell’anniversario della sua morte, è doveroso rinnovarne la memoria. Distintosi in azione a Cerrè Sologno, volle andare in soccorso ai compagni rimasti assediati nel tentativo di attaccare il Presidio fascista di Villa Minozzo.
Dissuaso più volte dall’esporsi in modo tanto ardimentoso, partì di corsa sul lungo tratto scoperto, ma venne immediatamente individuato, cadendo colpito a morte in un punto imprecisato, il 24 maggio 1944 ed il suo corpo, ormai senza vita, potè essere recuperato soltanto al tramonto, al momento in cui venne deciso di togliere l’assedio.
Decorato con la medaglia d’argento, al giovane “Mollo” verrà prima dedicato il nome del distaccamento di cui aveva fatto parte ed in seguito sarà nominata col suo nome la 145^ Brigata.
Cavicchioni Enrico “Lupo” ( 1925-1944 )
Studente diciannovenne di Reggio, Enrico Cavicchioni era un giovane sveglio e coraggioso, che divenne ben presto comandante della Squadra Sabotatori, proprio per l’ardimento e l’intelligenza dimostrati affrontando diverse azioni. Cadde nella notte del 23 giugno 1944 nel tentativo di sabotare il ponte in muratura nei pressi della Bettola.
Dopo un primo tentativo fallito, il giovane comandante decise di portare a termine la distruzione del ponte, nonostante fosse prevedibile l’arrivo dei tedeschi. Infatti mentre la formazione partigiana era già sul posto, sopraggiunse un automezzo nemico proveniente da Casina, investito immediatamente dal fuoco delle armi partigiane. Ingannato dall’oscurità della notte e credendo i tedeschi tutti morti, “Lupo” non si accorse di un tedesco nascosto sotto l’automezzo, che, vedendolo avvicinarsi, lo freddò con una scarica. Con lui morirono i compagni Pasquino Pigoni “Maestro” e Guerrino Orlandini “Drago”.
La perdita di un comandate tanto capace, fu particolarmente sentita dai partigiani della montagna, tanto che il Comando partigiano darà a tre distaccamenti il nome dei compagni caduti alla Bettola. Alla costituzione del distaccamento “Lupo”, venne rivolto il seguente appello ai garibaldini che entrarono a farne parte:
“Questo Comando ha deciso di dare al vostro Distaccamento il nome glorioso di un Garibaldino caduto, la cui recente morte ha addolorato ma nello stesso tempo animato all’azione ed alla vendetta tutti noi: Lupo, giovanissimo, abbandonati i banchi della scuola quando la voce dell’insurrezione lo ha chiamato, egli ha dedicato la sua instancabile attività per la liberazione della Patria. Ha dimostrato la fede ed il coraggio di un vero figlio dell’Italia ed è caduto da combattente e da eroe. Chi lo ha conosciuto da vicino non può dimenticare il suo cuore generoso, il suo carattere gioviale ed amichevole, la sua voce calda che sapeva sempre come esortare e come comandare.
Il sacrificio della sua breve vita è stato compiuto in battaglia da piombo teutonico. Comandante del vostro distaccamento celere, ne ha indicata la strada dell’onore e della gloria in cui si cimentò, in una unità di popolo, lo studente con il contadino, l’operaio con l’ingegnere, nelle medesima uguaglianza di virtù e di doveri per l’unità spirituale e sociale della Patria.
Lupo non è morto, o compagni. Egli vive fra noi, sulle nostre bocche, sulle vostre armi da fuoco, sulle punte dei vostri pugnali e ordina l’attacco. Egli vive nei vostri canti pieni di calore, nei vostri muscoli pieni di forza, nelle vostre menti piene di fede. Egli vi guiderà ancora all’assalto.
L’Italia libera era il suo ideale. L’Italia libera deve essere il vostro ideale!
Garibaldini! Il vostro distaccamento porterà il nome di Lupo.
A voi l’onore di imitare e di ubbidire al vostro primo comandante.
Viva l’Italia, Viva i Garibaldini!”.
Cervi, i sette fratelli: Ferdinando, Antenore, Aldo, Ettore, Agostino, Ovidio, Gelindo
I Cervi erano arrivati al podere di Praticello di Gattatico alla ricerca di un terreno pieno di gobbe e di buche da livellare per renderlo coltivabile, attraverso le conoscenze acquisite grazie alla “Riforma sociale” di Luigi Einaudi ed alle tante ore trascorse sui libri, nelle pause del lavoro, per imparare le moderne tecniche dell’agricoltura.”;”Avevano le mucche, allevavano piccioni e le api che producevano un finissimo miele. Avevano comperato il primo trattore della zona ed inoltre avevano piantato per la prima volta in Emilia, l’uva americana. Tutto questo suscitò molte gelosie nel paese, ma soprattutto l’attenzione delle autorità fasciste”.
I Cervi erano sempre stati antifascisti, così come il padre Alcide e la madre Genoeffa Cocconi, donna di profonda fede cattolica; ma fu soprattutto Aldo ad infondere a tutta la famiglia le prime nozioni politiche e quindi un naturalissimo e convinto antifascismo.
Con il trascorrere del tempo, divennero sempre più stretti i contatti con il movimento antifascista, così che, già dall’inizio della guerra, la loro casa divenne un rifugio per i prigionieri alleati fuggiti dai campi di prigionia. Era tra loro il russo Anatolij Makarovic Tarasov, successivamente fidato compagno dei sette fratelli ed attivissimo partigiano nella Resistenza.
Sfiduciato il Duce dai suoi stessi gerarchi, cadde il fascismo il 25 luglio 1943 e la famiglia Cervi organizzò una grande festa, offrendo la famosa pastasciuttata a tutta la popolazione sull’aia della casa. Nelle pentole vennero cotti dieci quintali di pasta e ai Campi Rossi giunsero a mangiare i vicini, i parenti, gli amici, i paesani. La popolarità dei Cervi aveva ormai superato i confini di Gattatico e con l’arrivo dei nazisti in Emilia, la loro cantina ed il loro fienile divennero depositi per le armi dei partigiani che andavano in montagna. Anche loro, seppur per un brevissimo periodo, provarono la via dei monti, dove ebbero contatti con il parroco di Tapignola Don Pasquino Borghi, ma capirono ben presto che la Resistenza in montagna non era ancora sufficientemente organizzata.
Così tornarono ai Campi Rossi, poiché ritennero fosse più importante rimanere in pianura e mantenere i collegamenti con i primi nuclei partigiani che via via andavano formandosi, nascondendo le armi e diffondendo la stampa clandestina. I fascisti non tardarono però a stroncare l’intensa attività cospirativa dei Cervi, infatti all’alba del 25 novembre 1943, un plotone di militi circondò l’edificio, in parte incendiandolo ed al termine della sparatoria i sette fratelli, dopo essersi arresi, vennero catturati e condotti al carcere politico dei Servi a Reggio Emilia. Stessa sorte toccò al padre Alcide che non volle abbandonarli, al compagno partigiano Quarto Cimurri e ad alcuni ex prigionieri alleati, tra i quali Dante Castellucci che si fece passare per francese.
Alla fine la casa della famiglia venne completamente bruciata dai fascisti, con le donne ed i bambini abbandonati in strada. Papà Cervi era ancora in cella e non fu nemmeno informato quando i suoi figli vennero condannati a morte e fucilati al poligono di tiro di Reggio, alle ore 6,30 del 28 dicembre 1943 .
“Dopo un raccolto ne viene un altro, bisogna andare avanti”. Queste le parole del vecchio “Cide” quando, tornato a casa dal carcere, seppe dalla moglie Genoeffa la tragica fine dei suoi ragazzi. Da quel giorno infatti, furono le donne dei Cervi a lavorare la terra con Alcide e con gli 11 nipoti.
Nell’immediato dopoguerra, il Presidente della Repubblica appuntò sul petto del vecchio padre sette Medaglie d’Argento, simbolo del sacrificio dei suoi figli. Papà Cervi viaggiò in mezzo mondo, rappresentando la Resistenza italiana, partecipando alle grandi manifestazioni politiche, partigiane ed antifasciste.
Morì a 94 anni il 27 marzo 1970, salutato ai suoi funerali da oltre 200.000 persone.
La casa del Cervi è oggi uno straordinario museo della storia dell’agricoltura, dell’antifascismo e della Resistenza. Nel Giugno 2008 Casa Cervi è stata la sede della Prima Festa Nazionale dell’ANPI