Eccidio dei Fratelli Azzolini
La banda fascista diretta da Pelliccia, informata da una spia locale, penetrava improvvisamente, alle ore 20 del 27 dicembre 1944 in casa di fratelli Elia e Emore Azzolini di Villa Seta, sorprendendoli nella stalla assieme ai loro genitori. Gli Azzolini erano due esperti partigiani ai quali non mancava la prudenza: infatti nella notte dormivano fuori casa, da dove tra l’altro mancavano per lunghi periodi di tempo; ma quella sera la spia li vide rientrare e furono quindi sorpresi. La banda ingiunse loro di seguirli, ma Elia oppose resistenza e lo uccisero a sangue freddo davanti agli occhi esterrefatti dei famigliari: la madre che si gettò sul figlio nel tentativo di fargli scudo col proprio corpo, rimase essa pure gravemente ferita. Emore venne trascinato in località Casaletto di Novellara, presso il ponte delle Ericiole, dove, dopo varie e crudeli torture, venne esso pure assassinato e il suo cadavere abbandonato sulla strada dove fu rinvenuto il mattino successivo.
Poiché i fascisti proibirono che si facessero i funerali dei due martiri, le loro salme poterono avere onorata sepoltura soltanto grazie alla signora Elide Bonvicini e ai signori Angelo e Giuseppe Soncini che vi provvidero, nonostante il divieto fascista, incuranti delle conseguenze che avrebbero potuto riportarne.
Elia Azzolini (Giulio) Capo Nucleo – Cl. 1913 – Residente a Poviglio – Arruolato il 10 gennaio 1944 nella 77a Brigata S.A.P. – Trucidato dai fascisti a Villa Seta il 27/12/1944
Emmore Azzolini (Nino) Capo Squadra – Cl. 1916 – Residente a Poviglio – Arruolato il 10 gennaio del 1944 nella 77a Brigata S.A.P. – Catturato dai fascisti a Villa Seta a fucilato per rappresaglia a Casaletto di Novellara il 27/12/1945
Questo singolare atteggiamento si spiega col fatto che a proposito della rappresaglia di Bagnolo (10 persone uccise dalla brigata Nera il 14 febbraio) vi furono contrasti tra fascisti e tedeschi. Secondo questi ultimi infatti l’eccidio di Bagnolo era una “azione sbagliata”. Evidentemente i fascisti, nel caso del fatto di Cadelbosco non vollero rinunciare alla rappresaglia (come del resto facevano i tedeschi) pur effettuandola senza troppo clamore per non irritare gli alleati germanici.
Tra gli 8 uccisi, come abbiamo visto, c’era anche Paolo Davoli (Sertorio, Intendente del Comando Piazza, dirigente del P.C.I. ed organizzatore di squadre partigiane). Arrestato nel dicembre con altri membri del Comando Piazza, subì per vari giorni torture gravissime nel corso degli interrogatori. Seppe tuttavia conservare il silenzio. Tento di sottrarsi ai tormenti con suicidio. Si gettò infatti da una finestra fratturandosi una gamba. Fu ripreso, nuovamente torturato. Lasciato senza cure, soffrì orribilmente per l’insorgenza della cancrena. I medici dovettero amputargli la gamba spezzata. Al momento della fucilazione dovette essere trasportato di peso al luogo del martirio. Andò alla morte sereno, come attestano le testimonianze dei suoi compagni di prigionia. Prima del seppellimento gli fu trovato indosso un biglietto così concepito: “Cari genitori, vado a morire, la mano non trema, non pensate a me; uccidono me ma non l’Idea. Evviva la libertà. Vostro paolo”.
Anche Davoli, come Zanti e Saltini che lo precedettero nella morte, aveva dedicato tutta la sua vita alla lotta antifascista. Perseguitato, dovette espatriare in Francia. Tornato per lottare clandestinamente contro la dittatura, fu scoperto ed arrestato. Uscì dal carcere il 25 luglio 1943. Dopo l’8 settembre tutta la sua attività fu assorbita dall’organizzazione della Resistenza. Curò in particolare le S.A.P. Era amato per la sua mitezza e per il calore umano dei suoi rapporti coi giovani e i lavoratori. È facile immaginare, per tutto questo, la reazione suscitata tra i partigiani della pianura e della montagna dalla notizia dell’eccidio di Cadelbosco. L’intenzione dei nemici era quella di frenare la Resistenza col terrore delle esecuzioni sommarie, ma i loro calcoli si rivelarono inesatti.
Fossero dirigenti della Resistenza a soccombere, o semplici combattenti o civili, tutte quelle morti provocate a freddo e in spregio ad ogni considerazione di giustizia, si ritorcevano sui loro autori. Tale e tanto era il risentimento e l’odio suscitato da questi atti inumani, che sempre nuovi giovani accorrevano nelle formazioni partigiane. E i reparti già erano in grado di affrontare e vincere grossi combattimenti in campo aperto contro il nemico, proprio come era avvenuto a Fabbrico il giorno prima, 27 febbraio.
Da allora sempre più incisiva fu l’azione delle Brigate Partigiane. L’insurrezione popolare era ormai inarrestabile. Martino in Rio e Ciano d’Enza vennero occupate dai partigiani alcune settimane prima della liberazione. Gli agguerriti tedeschi vennero contenuti e respinti a Ca’ Marastoni e a Ligonchio. Una importante Sezione del Comando Generale tedesco venne distrutta ad Albinea. Manifestazioni di massa vennero effettuato l’8 marzo e particolarmente il 13 aprile, quando migliaia di donne appoggiate dai partigiani scesero sulle piazze di quasi tutti i paesi della pianura. Il nemico non ebbe più respiro, sino a quando tutto il territorio provinciale, con una serie di combattimenti, fu liberata in gran parte, prima dell’arrivo delle truppe alleate.
Il sacrificio delle vittime di Cadelbosco non fu vano, come non fu vano quello di tutti i partigiani o civili caduti nella guerra di Liberazione.