Nella prima decade d’aprile sia le forze resistenziali che quelle nazifasciste non hanno ancora l’esatta percezione di cui ciò che sta accadendo e soprattutto non prevedono un evolversi delle situazioni così rapido come sarà poi nella realtà dei fatti.
Gli Alleati nei primi giorni del, mese stanno accuratamente predisponendo l’offensiva contro le postazioni nemiche, offensiva che inizio il 9 e impiegherà una decina di giorni per assumere quel carattere travolgente che le permetterà poi nell’arco di una sola settimana di liberare tutta l’Italia del Nord. Nel frattempo la pianura reggiana diventa una specie di polveriera dove gli avvenimenti e gli scontri si susseguono ad un ritmo serrato e Correggio ne è, per certi aspetti, l’epicentro.
E in questo clima che si progetta, a livello provinciale, quella che viene definita la “giornata insurrezionale”: una sorta di prova generale dell’insurrezione, da attuarsi il giorno 13. È così che nel comune di Correggio i Gruppi di Difesa della Donna si mobilitano e il 13, mentre i partigiani si appostano lungo le principali direttrici che conducono al paese, le donne scendono in piazza appoggiate dalla popolazione. Intanto a S. Prospero squadre di S.A.P. e G.A.P. bloccano la strada Reggio – Correggio facendo tredici prigionieri tra i quali lo stesso Commissario Prefettizio di Correggio. Verso le 13 però i partigiani vengono attaccati da consistenti formazioni della Brigata Nera e, dopo circa un’ora di combattimento, ripiegano trascinando con sé gli ostaggi, che vengono rilasciati in serata, dopo essere stati interrogati. Durante lo scontro rimane ferito il sappista Dario Ascari che viene catturato dai fascisti e trasportato alla sede delle B.N. di Correggio.
Qui viene sottoposto per tre giorni a torture, ma non cede; i fascisti decidono di eliminarlo e nella notte tra il 16 e il 17 lo portano a S. Biagio, dove viene trucidato.
La giornata del 13 non è che il preludio dell’altro avvenimento che si ha due giorni dopo, nel quale il movimento dimostra chiaramente la forza che anche sul piano militare ha raggiunto. La battaglia di Fabbrico del 27 febbraio, viene unanimemente riconosciuta come il più importante fatto d’armi di tutta la Resistenza nella pianura reggiana. Ad essa, in un succedersi continuo di scontri non coordinati e non programmati che si sviluppa in pratica per l’intera giornata del 15 aprile, partecipano circa 180 partigiani.
La mattina del 15 si apprende che un notevole carico d’armi è fermo a Gazzata. S’incarica di prelevarlo Sergio Fontanesi (Mauser) insieme a Giacomo Pratisoli (Aldo). Poco dopo si impara che ingenti forze fasciste stanno effettuando un ampio rastrellamento nella zona di Fabbrico – Campagnola – Rio Saliceto.
Verso mezzogiorno un gruppo di fascisti, proveniente da Bagnolo e diretto a Correggio, cattura Ennio Bassoli (musco) vicecomandante del battaglione. Un gruppo di partigiani del distaccamento di Fosdondo li attacca, permettendo al prigioniero di fuggire. Nel primo pomeriggio il gruppo di fascisti bagnolesi, che sta facendo ritorno al proprio presidio, si ferma a Fosdondo cominciando a perquisire cittadini inermi. Proprio in questo momento arrivano Mauser e Aldo in motocicletta seguiti da altri partigiani con il carico d’armi. I fascisti fermano i due e individuatili come partigiani (pare che avessero addirittura fazzoletti rossi al collo) li uccidono. I partigiani che sono sul camion di scorta al carico, a loro volta aprono, il fuoco contro i fascisti. Alcuni rimangono uccisi; gli altri si ritirano nella chiesa da dove continuano a sparare. A questo punto si decide di avvisare gli altri distaccamenti, in particolare il “Borghi” e il “Soave”, oltre ad un distaccamento G.A.P. Questi si portano rapidamente nella zona e bloccano tutte le strade che portano alla frazione. Tre camion di fascisti provenienti da varie direzioni vengono attaccati e quasi annientati in momenti diversi. A questo punto l’eco della battaglia si è ormai propagata a tutto il territorio circostante e i fascisti convogliano sul luogo tutti i reparti che nella mattinata avevano compiuto il rastrellamento a Fabbrico – Campagnola – Rio. Si tratta di circa 300 uomini trasportati su 12 o 13 autocarri. I fascisti operano un accerchiamento dei partigiani disposti nella zona nord del luogo dello scontro e cioè i distaccamenti “Soave” e di S. Prospero e Fosdondo. Mentre si avvicinavano, i fascisti gridano i nomi di battaglia di alcuni patrioti: “Carburo” (Paride Caminati) e, “Diavolo” (Germano Nicolini). Il primo, credendo che si tratti di compagni di lotta, si alza e si avvicina, ma a pochi metri di distanza viene freddato da una scarica di mitra. Oramai la battaglia è campale: non molto distante anche il giovane Luciano Tondelli (Bandiera) viene ucciso dal fuoco nemico. La situazione sta diventando decisamente sfavorevole ai partigiani quando il comandante “Diavolo” da l’ordine di sganciarsi. L’operazione si presenta quasi impossibile se non fosse per l’eroismo estremo di Angiolino Morselli (Pippo), che non si muove dalla propria postazione e con tutte le armi a disposizione tiene impegnato il nemico permettendo ai compagni di ritirarsi e di salvarsi. Esauriti gli ultimi colpi e l’ultima bomba, Pippo viene colpito da una raffica nemica e cade al suolo.
Ormai a sera la battaglia è conclusa. Questo il bilancio dell’intera giornata: 5 partigiani e 2 civili uccisi, 3 feriti, non è mai stato possibile accertare le perdite in campo fascista, anche se dall’andamento del combattimento, si presume ammontino a qualche decina.