Non si conosce il motivo di questo ennesimo eccidio, ma probabilmente i fascisti vollero vendicare alcuni loro compagni, morti il 26 febbraio precedente, in seguito all’azione di alcuni gappisti che, sulla stessa strada, avevano attaccato un automezzo provocando alcune perdite tra i componenti dell’equipaggio. La rappresaglia venne attuata in modo quasi clandestino, tanto che nemmeno la stampa fascista ne parlò. Persino i cadaveri dei fucilati, contrariamente al solito, non furono lasciati esposti sulla strada, bensì nascosti in una cappella del cimitero di Cadelbosco Sotto. Evidentemente i fascisti volevano evitare polemiche con i tedeschi sulla conduzione delle rappresaglie, tuttavia senza rinunciare a massacrare come meglio credevano.
Perirono nella rappresaglia del 28 febbraio:
Luigi Rigolli, Tito Di Parma, Amedeo Rossi, Salvatore e Andrea Garilli da Piacenza, Medardo Pagliani e Fermo Pedrazzoli da Correggio, Ferruccio Ferrari, Erio Benassi e Paolo Davoli da Reggio Emilia. Emblema di quella cupa giornata fu certamente il martirio, il drammatico supplizio di Paolo Davoli.
Paolo Davoli così come Angelo Zanti e Vittorio Saltini che lo precedettero nella morte, è stato una figura importante dell’antifascismo e della Resistenza, non tanto per i posti di direzione che occupò durante vent’anni di attività politica nei diversi organismi in Italia ed a Parigi tra i Gruppi di Lingua Italiana, quanto per ciò che nella sua vita c’è stato di mirabilmente coraggioso, chiaro, esemplare.
Comunista e per questo perseguitato, dovette espatriare in Francia, tuttavia tornò per lottare clandestinamente, ma fu scoperto ed arrestato. Uscito il 25 luglio 1943, riprese immediatamente i contatti con i suoi compagni comunisti e soltanto dopo l’8 settembre tutta la sua attività venne assorbita dall’organizzazione della Resistenza, ricoprendo il ruolo di Intendente del Comando Piazza.
Primo tra gli organizzatori del C.L.N. reggiano, dei Gruppi di Difesa della Donna e delle Squadre S.A.P., era amato per la sua mitezza e per il calore umano dei suoi rapporti con i giovani e con i lavoratori, tanto che si preoccupò sempre di non compromettere, seppur minimamente, alcun compagno. Proprio per questa sua intensa ed incessante attività venne arrestato presso la sua abitazione il giorno 30 novembre 1944. La sorte di Paolo Davoli fu certamente tra le più atroci, dapprima venne bastonato a sangue con verghe metalliche e successivamente ustionato gravemente con un ferro da stiro rovente sulla schiena, sulle cosce e sulle natiche, che gli fece abbassare di un centimetro le carni, straziando orribilmente la sua pelle. Addirittura alcuni prigionieri testimoni delle brutali torture subite dal giovane partigiano, dissero che venne fatto sedere sopra ad un fornelletto elettrico acceso.
Con gli strumenti di tortura descritti, i fascisti dilaniarono il corpo del povero Paolino per più giorni nella speranza di farlo parlare, per strappargli i nomi dei compagni del P.C.I. e dei membri del C.L.N., ma sartorio si lasciò torturare ed uccidere, pur di fare un solo nome. Detenuto a Villa Cucchi, benché ridotto in uno stato pietoso e sfinito dalle bestiali sevizie, un giorno approfittò di un attimo di distrazione dei suoi carnefici per tentare la fuga, gettandosi dalla finestra della latrina, ma nel cadere si ruppe una gamba ed i fascisti lo rinvennero al suolo esanime ed incapace di muoversi. Sui volti degli sgherri assassini si disegnò un ghigno di soddisfazione e di scherno, al punto che i fascisti si rifiutarono di farlo ricoverare nell’ospedale cittadino e lo mandarono alla caserma “Muti”. Lì venne di nuovo sottoposto a più feroci torture, mentre la gamba fratturata e lasciata senza cure per giorni, non tardò ad andare in cancrena, provocandogli spasmi violentissimi. A quel punto l’arto venne amputato in un locale della caserma approntato a sala operatoria. Ormai la persona fisica di Paolo Davoli così com’era prima dell’arresto non esisteva più, i fascisti l’avevano ridotto in fin di vita, l’avevano sfigurato in ogni parte del corpo; impotenti e scoraggiati di fronte ad una simile tempra d’uomo, decisero di fucilarlo. Alle ore 3 del 28 febbraio 1945 alcuni militi lo prelevarono di peso dalla cella, non potendo infatti reggersi in piedi, ma prima di uscire ed incurante della sorte a cui sarebbe andato incontro, disse ad uno dei compagni di prigionia:
” Gianni, tu che sei il più giovane di tutti noi, se riuscirai ad uscire vivo di qua, ricordati e dì a tutti che sono andato alla morte sereno, così come mi vedi”.
Paolo Davoli venne fucilato all’alba di quel 28 febbraio sulla strada per Gualtieri insieme ad altri 9 partigiani comunisti, sul luogo del supplizio intonò un canto patriottico, incitando i compagni a fare lo stesso; per questo lo crivellarono di colpi quando già era morto ed uno di quei vigliacchi fascisti gli fracassò il cranio con il calcio del fucile. Ondina Davoli riconobbe il corpo completamente dilaniato del fratello, per una cicatrice che aveva sotto al mento e per il panno con il quale era coperto che portava il suo nome. Prima del seppellimento gli fu trovato addosso un biglietto, dal quale traspariva tutto il suo amore per la libertà e l’incrollabile fede nei propri ideali:” Cari genitori, vado a morire, la mano non mi trema, non pensate a me, uccidono me, ma non l’idea. Evviva la libertà. Vostro Paolo”. È facile immaginare la reazione suscitata tra i compagni partigiani della pianura, se persino in montagna l’eco della morte di sartorio e delle atroci torture a cui fu sottoposto, provocò fremiti di sdegno e propositi di vendetta.
Paolo Davoli verrà decorato con la Medaglia d’Argento al valore, con la quale si riconoscerà la sua straordinaria capacità organizzativa, la sua tenacia, il suo valore politico ed il suo indomito coraggio.