Nel pieno dell’ultimo inverno di guerra, caratterizzato dalle più sanguinose rappresaglie nazifasciste che provocarono decine e decine di vittime in poche settimane, l’eccidio di via Porta Brennone è l’unico compiuto in centro storico.
Eccidi di rilevanti proporzioni furono compiuti nel medesimo periodo al Ponte del Quaresimo (10 vittime il 28 gennaio 1945) o a Calerno (20 vittime il 14 febbraio). Poche settimane prima (13 gennaio), presso la Caserma Zucchi era stato fucilato Angelo Zanti (med.d’argento v.m.).
Il 2 febbraio 1945 in corso Garibaldi, nei pressi dell’incrocio con via Porta Brennone, una bomba a mano lanciata da un gappista esplode al passaggio di una pattuglia di cinque poliziotti fascisti, ferendoli gravemente. La rappresaglia fascista scatta immediatamente.
All’alba del 3 febbraio dalle carceri cittadine dei Servi sono prelevati quattro patrioti. Portati all’incrocio fra via Porta Brennone e via della Racchetta contro il muro dell’antico Palazzo Vicedomini vengono fucilati.
Erano:
Cristoforo Carabillò di Palermo, ufficiale dell’Esercito
Sante Lusuardi (Dario), di Correggio, della 77^ Brigata Sap
Dino Turci (Ercole), di Correggio, della 37^ Brigata Gap
Vittorio Tognoli (Marco), di Scandiano, della 76^ Brigata Sap.
Tognoli Vittorio (Marco) al tempo della guerra di liberazione, aveva 24 anni. Era divenuto Capo Squadra delle S.A.P. Si era arruolato il 20 giugno del 1944. Era contemporaneamente dirigente di una zona del Fronte della Gioventù. Per la sua dedizione all’attività clandestina e partigiana, per l’ammirevole comportamento tenuto di fronte alle torture ed alla morte, il Comando della 76a Brigata S.A.P. inoltrò una proposta per la concessione della Medaglia d’Argento alla memoria. La proposta fu accolta e, la decorazione concesse con la seguente motivazione:
“Valoroso combattente, catturato dal nemico durante un rastrellamento veniva sottoposto alle più crudeli sevizie che egli sopportava con animo fermo senza fare alcuna rivelazione compromettente per la Resistenza. Condannato alla pena capitale affrontava la morte da eroe”. Arrestato dai fascisti fu sottoposto ad inenarrabili torture. Venne poi fucilato in Reggio Emilia, e precisamente all’angolo di Via Porta Brennone, nel corso di una rappresaglia fascista, assieme a tre suoi compagni di prigionia.
Secondo l’uso introdotto dai tedeschi e ampiamente ripreso dai fascisti, i cadaveri dei quattro partigiani uccisi alle prime luci dell’alba, vennero lasciati al margine della strada per due giorni, con il divieto di rimuoverli e di darvi sepoltura, quale monito alla popolazione civile a non collaborare con la Resistenza.
L’ordine di effettuare la rappresaglia venne direttamente dal Capo della provincia Giovanbattista Caneva che per questo motivo nel dopoguerra fu processato dalla Corte d’Assise straordinaria e condannato a trenta anni di reclusione.