“Metti gli altri prima di te.
Distacca il tuo cuore dalle cose di quaggiù
dando generosamente, a chi domanda,
tutto quello che puoi;
servi prima il tuo prossimo e poi te stesso” – Don Pasquino Borghi

( … ) “ Dicono che è stato partigiano: è vero, ma lui è sempre stato partigiano del bene e della carità ed è sempre stato resistente all’ingiustizia e alla violenza. Quello che ha fatto, lo ha fatto perché lui era abituato in famiglia, alla bontà ed alla carità.  A Tapignola aveva continuato a fare quanto aveva fatto in Africa, il missionario, dando tutto ciò che aveva agli altri”. Orsola Del Rio Borghi (madre di don Pasquino)

Nato a Bibbiano nel 1903 da una famiglia di origine contadina ed ordinato sacerdote nel 1930, don Pasquino Borghi esercitò il suo magistero all’insegna di una “radicalità spirituale”, che lo avrebbe indotto a misurarsi con scelte impegnative. Infatti, prima l’esperienza missionaria in Sud-Sudan come padre comboniano (1930-1937), poi il passaggio alla severa vita contemplativa nella Certosa di Farneta (1938-1939) e quindi l’attività profusa nelle parrocchie di Canolo di Correggio e di Tapignola a Villa Minozzo all’inizio degli anni Quaranta, sono le tappe principali di una biografia interrotta prematuramente dai drammatici eventi della seconda guerra mondiale. 

Fin dal periodo trascorso nella parrocchia di Canolo, il sacerdote nel corso della sua azione pastorale non mancò di assumere posizione contro la guerra condotta dall’Italia fascista a fianco della Germania nazista; in seguito, dopo essere divenuto parroco di Coriano – Tapignola nell’alto appennino reggiano, l’armistizio dell’8 settembre 1943 impose a don Borghi una decisa scelta di campo: entrato nel movimento partigiano con il nome di battaglia di “Albertario”, il parroco fece della canonica di Tapignola un rifugio di perseguitati, di ex prigionieri alleati in fuga dai tedeschi, militari sbandati e partigiani. La sua canonica rappresentò un importante punto di riferimento per il movimento della Resistenza in provincia di Reggio Emilia, nonché nell’ospitare e indirizzare verso il Sud, attraverso il valico dell’Appennino e la Linea Gotica, i prigionieri alleati.
La parrocchia di don Borghi costituì uno snodo cruciale di quella “via delle canoniche” che collegava la montagna reggiana al capoluogo; infatti, nella situazione di vuoto istituzionale creatosi dopo l’8 settembre 1943 le parrocchie diventarono luogo di ospitalità per sbandati, rifugiati, prigionieri, ebrei e per chi cercava scampo e salvezza. Molti i parroci che coniugarono carità e coraggio, impegnati senza riserve nella lotta resistenziale, ritrovando un patriottismo in ordine con la fede.
L’opera di assistenza e di ricovero animata dai parroci poteva avvalersi di numerosi punti di appoggio, tra cui anche la canonica della chiesa di San Pellegrino; posta alla periferia sud della città lungo la strada per la montagna, la parrocchia dal mese di ottobre del 1941 era guidata da don Angelo Cocconcelli, un altro giovane sacerdote impegnato nel movimento resistenziale, che aveva maturato l’opposizione al regime nazifascista grazie anche all’esperienza svolta tra il 1939 e il 1941 come cappellano degli operai italiani in Germania.
La canonica di San Pellegrino, divenuta dopo l ’8 settembre 1943 un punto di riferimento del Comitato di Liberazione Nazionale provinciale, fu visitata da don  Pasquino Borghi in occasione del suo ultimo viaggio in città prima della fucilazione. Infatti l’11 gennaio 1944 il parroco di Tapignola incontrò a San Pellegrino don Angelo Cocconcelli e Giuseppe Dossetti, due tra le più autorevoli figure del cattolicesimo antifascista reggiano. I due esponenti della Resistenza, essendo venuti a conoscenza di un’ imminente azione delle autorità fasciste verso Tapignola, esortarono don Borghi ad una maggiore prudenza invitandolo a sospendere almeno temporaneamente l’attività di supporto alla Resistenza ed a trasferire altrove i partigiani ospiti della sua canonica. A questo invito il parroco rispose con parole dalla semplicità evangelica: “Dove li mando questi poveri ragazzi se nessuno li vuol ospitare?”. E poco dopo: “Possiamo anche dare la vita per la causa della patria, non è vero?”. Preso atto della ferma volontà e della determinazione del sacerdote a proseguire nella sua attività, don Cocconcelli e Giuseppe Dossetti rinunciarono ad insistere. Oltre a testimoniare lo spirito cristiano e l’amore per il proprio paese, le parole pronunciate dal sacerdote facevano trasparire la consapevolezza dell’approssimarsi del martirio. In effetti, pochi giorni dopo, il 21 gennaio 1944 don Pasquino fu arrestato a Villa Minozzo per poi essere trasferito alle carceri di Scandiano e di Reggio Emilia. Venne fucilato, senza alcun processo, insieme agli antifascisti Ferruccio Battini, Romeo Benassi, Umberto Dodi, Dario Gaiti, Destino Giovannetti, Enrico Menozzi, Contardo Trentini ed Enrico Zambonini, nel Poligono di tiro il 30 gennaio, come rappresaglia all’uccisione di un militare della Guardia Nazionale Repubblicana avvenuta a Correggio due giorni prima.
La morte affrontata da don Pasquino Borghi con profonda spiritualità, dopo aver confortato gli altri condannati con parole di fede ed impartito la benedizione, era l’epilogo di un percorso improntato alla testimonianza cristiana, al coraggio civile e al forte impegno nella storia.
Il 7 gennaio 1947, in occasione delle celebrazioni della nascita del Tricolore, il Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, ha consegnato alla madre Orsola Del Rio la Medaglia d’oro al Valor militare alla memoria del figlio. (per gentile concessione di Istoreco e Parrocchia San Pellegrino di Reggio)

     
La tonaca di Don Borghi è conservata ed
esposta presso la chiesa di San Pellegrino

Decorazione medaglia d’oro