La strage di Reggio Emilia, più nota come “morti di Reggio Emilia”, è un fatto di sangue avvenuto il 7 luglio 1960 nel corso di una manifestazione sindacale durante la quale cinque operai reggiani, Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri, Afro Tondelli, tutti iscritti al PCI furono uccisi dalle forze dell’ordine.

Nota anche con il termine di “fatti di Reggio Emilia”, la strage fu l’apice di un periodo di alta tensione in tutta  l’Italia , in cui avvennero scontri con la polizia. I fatti scatenanti furono la formazione del governo Tambroni,  governo monocolore  democristiano  con il determinante appoggio esterno del MSI, e l’avallo della scelta di Genova (città “partigiana”, già medaglia d’oro della resistenza) come sede del congresso del partito missino. Le reazioni d’indignazione furono molteplici e la tensione in tutto il paese provocò una grande mobilitazione popolare.L’allora Presidente del Consiglio, Fernando Tambroni, diede libertà di aprire il fuoco in “situazioni di emergenza” ed alla fine di quelle settimane drammatiche si contarono undici morti e centinaia di feriti. Queste drammatiche conseguenze avrebbero costretto alle dimissioni il governo Tambroni.La sera del 6 luglio la CGIL reggiana, dopo una lunga riunione, proclamò lo sciopero cittadino. La prefettura proibì gli assembramenti e le stesse auto del sindacato invitarono con gli altoparlanti i manifestanti a non stazionare durante la manifestazione. L’unico spazio consentito, la Sala Verdi che aveva una capienza di 600 posti, era troppo piccolo per contenere i 20.000 manifestanti. Un gruppo di circa 300 operai delle Officine Meccaniche Reggiane decise quindi di raccogliersi davanti al monumento ai Caduti, cantando canzoni di protesta.

Alle 16.45 del pomeriggio una carica di un reparto di 350 poliziotti al comando del vice-questore Giulio Cafari Panico, investe la manifestazione pacifica. Anche i carabinieri, al comando del tenente colonnello Giudici, partecipano alla carica. Incalzati dalle camionette, dai getti d’acqua e dai lacrimogeni, i manifestanti cercano rifugio nel vicino isolato San Rocco, per poi barricarsi letteralmente dietro ogni sorta di oggetto trovato, seggiole, assi di legno, tavoli del bar e rispondendo alle cariche con lancio di oggetti. Respinte dalla disperata resistenza dei manifestanti, le forze dell’ordine impugnano le armi da fuoco e cominciano a sparare.

Sul selciato della piazza caddero:

Lauro Farioli (1938), operaio di 22 anni, orfano di padre, sposato e padre di un bambino.

Ovidio Franchi (1941), operaio di 19 anni, il più giovane dei caduti.

Marino Serri (1919), pastore di 41 anni, partigiano della 76a, primo di sei fratelli.

Afro Tondelli (1924), operaio di 36 anni, partigiano della 76a SAP, è il quinto di otto fratelli.

Emilio Reverberi (1921), operaio di 39 anni, partigiano nella 144a Brigata Garibaldi era commissario politico nel distaccamento “G. Amendola”.

Le canzoni e le opere d’arte

I fatti furono cantati in una celebre canzone di Fausto Amodei, dal titolo Per i morti di Reggio Emilia, ripresa anche dal gruppo degli Stormy Six nel loro album “Guarda giù dalla pianura” e, più recentemente, alla base del romanzo di Paolo Nori del 2006 Noi la farem vendetta.

La stele ricordo

I caduti non ebbero pace nemmeno dopo la morte. Dapprima si vietò di depositare fiori sul luogo ove uno di essi era caduto (il selciato antistante la chiesa di San Francesco), perchè si trattava di proprietà privata! In seguito le autorità fecero la guerra al cippo marmoreo emettendo ordinanze su ordinanze per imporne la rimozione.

Le ordinanze tuttavia non bastarono e nessuno ebbe il coraggio di rimuoverlo. Solo  nottetempo, non identificati, infransero la primitiva lapide ricordo. Fu subito sostituita con una grossa pietra di granito, con incisi i nomi dei caduti, che rimase al suo posto fino al 7 luglio 1972, data in cui, a cura del Comitato Provinciale Antifascista, venne scoperta la Stele (opera dello scultore concittadino Giacomo Fontanesi) che rimarrà a perenne ricordo dei martiri nella piazza che la Città ha dedicato loro.

(Brano tratto dal libro I fatti del 7 luglio di Claudio Bigi, Edizioni Rinascita, 1975)