Partigiana combattente del Comando Unico della Montagna reggiana, la giovane Rosina, nata a Cavriago il 19 giugno 1918, divenne Comandante di Distaccamento col grado di Sotto-Tenente a partire dal 12 aprile 1944.
Era una ragazza libera, senza particolari problemi in famiglia e senza lavoro, costretta a condurre un’esistenza economicamente disagiata, come quella di tante altre giovani donne e di tantissime altre famiglie del nostro Paese, una vita spesso fatta di miseria e di innumerevoli repressioni a causa della dittatura fascista. Un regime eversivo, reazionario e violento che impediva la libertà di tutto il nostro popolo, ma che tuttavia innescò nell’animo di tutti i cittadini onesti, un odio viscerale nei confronti di chi aveva portato l’Italia in una guerra senza futuro, condannandola alla distruzione ed alla rovina.
Alla caduta di Mussolini, il 25 luglio1943, deposto dai suoi stessi gerarchi, Rosina iniziò a manifestare i primi sintomi di ribellione a quell’assurdo stato delle cose, tanto da unirsi ad alcuni giovani che cercavano il modo per opporsi da chi li opprimeva. Il Partito Comunista Italiano fu il naturale approdo per la giovane ragazza, convinta della veridicità dei suoi intenti, convinta che proprio attraverso quel partito potessero realizzarsi quei bisogni che erano da sempre mancati alle povere persone come lei. Quella che inizialmente fu una semplice curiosità di ragazza, divenne ben presto partecipazione convinta, Rosina entrò infatti in contatto con i vari Niccioli Emilio, Mazzali Eles e con colui che diventerà suo futuro marito, Tarasconi Walter, i quali già operavano attivamente sia in montagna che in pianura. La prima azione di Rosina fu quella di portare, insieme ad una compagna, alcune borse contenenti indumenti, armi e munizioni in una casa colonica appena sotto la via Emilia, sede di uno dei primi nuclei partigiani. L’attività della giovane donna proseguì nella zona di Cavriago, ben presto entrando nell’occhio del nemico, infatti fece appena in tempo a salire in montagna su consiglio di Tarascosconi e di Eles Mazzali, dove peraltro c’era grande bisogno.
Poco dopo la sua partenza i fascisti andarono a casa a cercarla e non trovandola, arrestarono la sorella, senza permetterle di salutare la figlia che la guardava sulla porta. (La trattennero due mesi, non riuscendo ad ottenere le notizie che avrebbero voluto).
“Anna”, questo il suo nome di copertura, divenne staffetta nell’aprile del 1944 operando tra Febbio e Villa Minozzo e partecipando attivamente a diverse azioni, nonostante in quei primi mesi i partigiani non erano ancora ben organizzati ed i distaccamenti erano armati di pochi fucili, qualche rivoltella ed alcune bombe a mano.
L’11 gennaio 1945 “Anna” venne fermata nei pressi dello Sparavalle ed immediatamente condotta al Comando tedesco di Cervarezza dove subì il primo interrogatorio e le prime torture. Lo stesso giorno fu trasferita al Comando superiore di Busana subendo per due lunghi giorni i peggiori trattamenti: spogliata, sbeffeggiata, insozzata di sputi, percossa con brutalità, per giunta i suoi carnefici la fecero sedere nuda sopra ad un termosifone bollente, legata con dure corde ad una seggila tanto da provocarle una insufficienza circolatoria ad una mano, che divenne nera ed il doppio dell’altra. Le fecero infine un’iniezione per farla parlare, ma invano. Passò poi al famigerato Comando antipartigiano di Ciano per 5 giorni, sempre oggetto delle “attenzioni” dei tedeschi, quindi ne trascorse altri 8 ad Albinea, sede della polizia investigativa tedesca. Il 25 gennaio, Villa Cucchi ed infine il carcere dei Servi di Reggio, furono le ultime tappe dell’infinito supplizio della povera Rosina. Tedeschi e fascisti pur di strappare un solo nome dalla bocca della giovane partigiana, fecero ricorso anche alle lusinghe più allettanti: fu il vile Tesei in persona a proporle una lussuosa villa oltre il Po, 100 mila lire e gioielli. Dopo 4 mesi di atroci torture fisiche e di tormenti morali, il 23 aprile 1945 la brigata nera scappò da Reggio ed i Servi finalmente lasciati aperti, “Anna” però fu portata a Parma dai tedeschi e rinchiusa nel carcere di San Franceso con altre 5 donne in una cella sotterranea, con alla porta un cartello con scritto: “CAPUT!”.
Il destino di quelle donne era certamente la fucilazione, senza perdersi d’animo “Anna” iniziò a battere sulla porta con un mestolo per la minestra, era la notte a cavallo tra il 24 ed il 25 aprile 1945, tutti i detenuti dei piani superiori erano stati liberati. Senza stancarsi un istante, i continui colpi sulla porta vennero finalmente uditi dai partigiani che erano entrati nel carcere alle prime luci dell’alba, “Anna” era finalmente libera. Condotta alla Caserma Zucchi di Reggio sede del Comando Unico, venne accolta dai festeggiamenti dei compagni, che l’avevano creduta morta dopo tutti quei mesi.