Il 24 Aprile 1945 le Colonne Partigiane calarono dall’Appennino per liberare la città dai nazi-fascisti. Percorsero la Provinciale Albinea-Reggio mentre l’esercito alleato avanzava velocemente da est, dalla Provincia modenese. Una mitraglia tedesca, appostata sul Casino a Torre di Via Monte Cimone, sparava incessantemente sulla via.
Qui cadde “Grappino”(Bonicelli Bruno anni 23 – 284″brigataFF.VV.FiammeVerdi-Medagliad’argento)la cui formazione giunse per prima in città, poco più oltre “Bagnoli”(Lazzaretti Enzo-anni 23 – 26″ma Brigata Garibaldi)
Tra questi cippi ed il Casino a Torre non c’è grande distanza. Lo sviluppo urbanistico della zona ne impedisce la vista. Al di qua e di là del Crostolo allora era tutta campagna. Al di qua del torrente, giovani Partigiani, determinati a conquistare la Libertà anche a rischio di morire.
Al di là del Crostolo giovani soldati tedeschi, determinati ad uccidere col furore cieco degli sconfitti.
Video racconto su “Grappino” e “Bagnoli”.
“Grappino”
Tra i pochi reparti delle Fiamme Verdi rimasti in montagna a presidio della zona di competenza, o in aiuto di altre brigate, vi è il distaccamento “Folgore”. Dopo l’incendio di Villaminozzo, era rimasto in quel di Cavola per proteggere il ponte sul Secchia, l’unico rimasto agibile. La sera del 23, riceve l’ordine di raggiungere il I Battaglione dislocato su Sassuolo e fermo a Roteglia.
Vi arriva all’alba, ma un contrordine chiede al Battaglione di portarsi a sud di Reggio. Il “Folgore”, senza un momento di riposo, è nuovamente in marcia, a piedi, attraverso i calanchi di Viano battuti dal sole ormai alto. A Viano, insieme allo “Zanichelli”, precetta gli autobus della Sarsa coi quali raggiunge le Due Maestà, dove incontra i primi americani. Poi nuovamente a piedi, in fila indiana, fino al Buco del Signore, luogo di concentramento del Battaglione.
Alle ore 15 il “Folgore”, staccatosi dagli altri due distaccamenti (che alle 16.20 giungeranno in città senza colpo ferire, come visto), procede a ventaglio verso la riva destra del Crostolo in direzione di San Pellegrino, dove è segnalato un nido di resistenza nemica. Va incontro al combattimento. È un pomeriggio di sole. Il Vicecomandante Grappino tiene il mitragliatore. Ma la sua fiducia è altrove. Dice: «Sono tranquillo. Sento che in quest’ora così bella Dio mi protegge, mi guida. Sono certo che non mi abbandonerà».
Uno dei più giovani partigiani del reparto ricorda:
«Prima che le tre squadre del Folgore abbiano raggiunto le case che costeggiano la provinciale Reggio-Albinea, a sud della Chiesa di San Pellegrino, i tedeschi iniziano un violento fuoco di sbarramento con armi automatiche e mortai.
La prima squadra, agli ordini di Grappino, Vicecomandante di Distaccamento, di cui fanno parte Lupo, Franco, Fagiolino, Mollo, Matafull, attraversa il cortile di una casa in mezzo a un fuoco infernale e si porta a ridosso di un pozzo, alla cui destra è sistemato un abbeveratoio.
Al riparo di quest’ultimo, “Grappino” sistema il suo fucile mitragliatore “Bren” e apre il fuoco. Dopo una prima raffica, l’arma si inceppa. Si alza per sostituire la canna, offrendosi facile bersaglio al tiro delle armi automatiche tedesche piazzate sull’altra sponda del Crostolo a poche decine di metri. È colpito in pieno petto. Cade riverso sull’abbeveratoio chiamando il fratello “Lupo” che i compagni di squadra faticano a trattenere. Alcuni altri precisi colpi alla schiena e alla cintola troncano per sempre la giovane vita. Sono le 15.15 del 24 aprile 1945. Nel tentativo di portare soccorso al fratello, “Lupo” è ferito di striscio alla fronte.
Successivamente gli amici riescono a penetrare nella casa abbandonata dotata di un rifugio sotterraneo che si apre sul Crostolo. Su questa apertura è piazzata una mitragliatrice pesante Breda, il fuoco incessante della quale mette in fuga il nemico.
A sera il corpo inanimato di “Grappino” è raccolto e composto in una stanza al pian terreno della casa.
Sandro Calvi di Coenzo, che ha seguito il Distaccamento in questa ultima triste marcia, ospita Lupo e gli altri amici del “Folgore” nella sua abitazione in via Toschi.
Con un solenne rito funebre, officiato in Duomo, inizia il mesto viaggio di ritorno di Grappino alla nativa Costabona, ove lo attendono i genitori desolati e una popolazione costernata dalla ferale, incredibile notizia che il Comandante Nino ha il giorno precedente portato in paese. Sulla piazzetta del minuscolo borgo è preparata un’austera camera ardente.
Verso le ore 16 del 28 aprile, portato a spalla dai suoi amici, Grappino risale per l’ultima volta la strada che conduce alla chiesa. Una folla indescrivibile lo accompagna. Le campane tacciono. Il fucile mitragliatore scandisce lugubri, lenti, laceranti colpi sul Monte”.
Sono gli ultimi colpi sparati dalle Fiamme Verdi. Per piangere un amico che in silenzio, con semplicità e modestia, ha pagato il tributo più alto alla libertà d’Italia. Per dire che quell’arma è stata imbracciata per estrema ribellione contro chi, ormai, non aveva altro linguaggio che quello della violenza. Gli ultimi colpi, più lacrime che rabbia, perché mai più le armi sostituiscano il dialogo e la ragione[1].
Ed ho pianto…
[1] La Nuova Penna, 20 aprile 1946; Volontario, 13 maggio 1945; La Libertà, 8 aprile 1995; Comando Brigata “Italo“, relazione dell’attività operativa dal 20 al 24 aprile 1945 (Istoreco, 3F/5).
La scheda di Bonicelli Bruno “Grappino” presso l’archivio di ANPI.
La scheda di Lazzaretti Enzo “Bagnoli” presso l’archivio di ANPI.